Era il 1979, precisamente il 16 marzo quando il governo guidato da Giulio Andreotti si appresta a giurare davanti al Presidente della Repubblica ed insediarsi in Parlamento.
Nella stessa giornata, un gravissimo fatto di cronaca balza agli occhi della gente.
Il democristiano Aldo Moro, mentre stava percorrendo via Fani a Roma, viene intercettato e bloccato da un nucleo armato delle Brigate Rosse.
Dopo aver ucciso 2 carabinieri (Oreste Leonardi e Domenico Ricci) e 3 poliziotti della scorta (Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi) i terroristi prelevano Moro, portandolo via.
Il sequestro (corredato da violenze) durò 55 giorni. Termine dopo il quale il Presidente della D.C. venne sottoposto a processo del c.d. “Tribunale del popolo”.
Al termine del giudizio di questo tribunale brigatista, Moro venne ucciso. Questo in seguito al fallimento della trattativa con lo Stato italiano in merito al rilascio di arrestati brigatisti in cambio della liberazione del politico.
Il corpo di Moro fu ritrovato il 9 maggio dello stesso anno nel vano bagagli di un’automobile, una Renault 4 rossa, dove venne compiuto l’assassino – molto cruento – ad opera di due membri del commando, usando dapprima una pistola, che si inceppò, e poi una mitraglietta comunemente conosciuta come Skorpion.